E’ revocabile un atto esecutivo di accordi intervenuti tra i coniugi in sede scioglimento di matrimonio: in particolare un atto di cessione immobiliare, esecutivo degli accordi intervenuti fra i coniugi nell’ambito dello scioglimento del proprio matrimonio è revocabile ex art. 2901 cc.?
Lo atto di cessione si scontra con il limite posto dal terzo comma della norma stessa, a mente del quale: “Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto”?
Anche se in un primo momento si poteva pensare di riuscire agevolmente a rispondere negativamente alle domande, le considerazioni che seguono ci hanno portato, poi, a riconsiderare la questione.
Sul primo punto è consolidato l’orientamento della Suprema Corte, secondo cui: “l’accordo con il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscono il trasferimento di beni immobili o di diritti reali minori sui medesimi, rientra nel novero degli atti suscettibili di revocatoria, non trovando ostacolo né nell’avvenuta omologa, che lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; né nell’intangibilità della separazione, essendo detta statuizione non oggetto della domanda revocatoria e logicamente scindibile dalla stipulazione del trasferimento immobiliare; né il fatto che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano pattuiti in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in considerazione non già la sussistenza dell’obbligo in sé, avente fonte legale, ma le concrete modalità del suo assolvimento (cfr. Cass. n. 24757/2008, Cass. n. 11914/2008, 8516/2006, Cass. n. 5473/2006, 15603/2005, Cass. n. 5741/2004).
In particolare con la sentenza n. 1144 del 2015 la Cassazione ha infatti affermato che: “è ammissibile l’azione revocatoria ordinaria del trasferimento di immobile, effettuato da un genitore in favore della prole in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene “dovuto” solo in conseguenza dell’impegno assunto in costanza dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l’accordo separativo costituisce esso stesso parte dell’operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901, co. 3 cc” .
Nel caso di specie, l’ostacolo maggiore alla revocabilità dell’atto de quo sembrerebbe la circostanza che lo stesso sia stato posto in essere quale modalità di pagamento di debiti già scaduti, integrando così la fattispecie di cui al terzo comma dell’art. 2901 cc.
Infatti uno degli ex coniugi non provvedeva da anni al pagamento di quanto dovuto alla moglie (almeno così veniva riferito in atti).

Nell’atto revocando (l’accordo tra i coniugi), infatti, parte debitrice attribuiva espressamente finalità solutoria all’atto, indicando espressamente l’ammontare del debito per assegni di mantenimento non corrisposti che lo stesso sarebbe andato ad estinguere.

La cessione immobiliare sembrerebbe porsi, pertanto, in un rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto il che varrebbe ad escludere il carattere di atto di disposizione pregiudizievole (e pertanto revocabile) per i creditori (Cass. 21.7.2006 n. 16756).
Per giurisprudenza consolidata, inoltre, la norma di cui al terzo comma trova applicazione non solo nel caso in cui l’adempimento sia esso stesso l’atto di disposizione patrimoniale del quale è chiesta la revoca, ma anche nel caso in cui l’atto di disposizione del quale è chiesta la revoca sia prodromico e strumentale all’adempimento del debito scaduto (ex plurimis, Cass. 11051/2009; Cass 16756/2006; Cass n. 13435/04; Cass 11764/02).
Ciò avviene nel caso di vendita da parte del debitore del suo unico bene immobile, al fine di procurarsi il denaro necessario ad estinguere i propri debiti (in tal senso ancora. Cass. n. 16756/2006).
La giurisprudenza ha, inoltre, precisato che neppure la comparazione degli interessi in conflitto giustifica una reazione del creditore, in quanto entrambi i soggetti coinvolti nella vicenda solutoria (il destinatario effettivo del pagamento e quello possibile di esso) sono creditori e, non essendo applicabile alla revocatoria ordinaria il principio della par condicio creditorum, valevole per la revocatoria fallimentare (Cass. 2.4.1996 n. 3066), non c’è ragione per preferire il creditore insoddisfatto, accordandogli la revoca.
In altri termini, laddove il debitore, avendo la possibilità di pagare soltanto uno o alcuni dei debiti scaduti, scelga il creditore da pagare, esercita una facoltà discrezionale, che non trova limite nel principio della par condicio, posto a tutela delle ragioni creditorie nell’esecuzione concorsuale.

Inoltre, anche qualora si ritenesse, in astratto, revocabile l’atto de quo, sarebbe ugualmente necessario verificare la sussistenza degli ulteriori requisiti richiesti, cumulativamente, dalla norma perché l’atto possa essere dichiarato inefficace.
1. L’eventus damni o lesione della garanzia patrimoniale del creditore; in altre parole l’atto revocando deve rendere anche solo più difficile per il creditore il soddisfacimento del proprio credito mediante l’esecuzione forzata sui beni del debitore.La cessione di un bene immobile è sicuramente atto idoneo a pregiudicare le ragioni del creditore della parte alienante.
2. Consilium fraudis; il secondo requisito richiesto dalla norma è un elemento psicologico; nel caso in cui l’atto revocando sia posteriore al sorgere del credito è sufficiente provare la sussistenza in capo al debitore della consapevolezza di ledere, con il proprio atto dispositivo, le ragioni del creditore; consapevolezza anche nel senso di mera conoscibilità – nel caso, invece, di atto dispositivo anteriore al sorgere del credito i requisiti sono più stringenti: sarà necessario provare, in capo al debitore, la preordinazione del proprio operato.
In altre parole si dovrà provare non semplicemente che il debitore sapesse o non potesse non sapere di ledere la propria garanzia patrimoniale ma si dovrà provare che l’operazione fosse proprio preordinata a ciò.
Nel caso concreto la prova della consapevolezza in capo al debitore (del coniuge e, scusate il gioco di parole: anche nostro debitore) di ledere le ragioni creditorie sembra piuttosto agevole atteso che lo stesso aveva espressamente riconosciuto il proprio debito.
3. Scientia damni; L’ultimo requisito richiesto dalla norma, qualora l’atto sia a titolo oneroso, è la prova della conoscenza, anche in capo al terzo, del danno che l’atto dispositivo causa alle ragioni del creditore.
Lo scopo delle attribuzioni di beni immobili previste con gli accordi di separazione o divorzio è quello di regolare i rapporti economici tra i coniugi, definendo in questo modo le reciproche ragioni di dare e avere al termine della convivenza.
Le stesse attribuzioni, pertanto, potranno essere stipulate:
-a titolo oneroso, quando l’attribuzione vuole compensare o ripagare l’altro coniuge del compimento di una serie di atti a contenuto patrimoniale,
– a titolo gratuito, quando non si intende compensare e/o ripagare il coniuge per gli atti compiuti nel corso della vita matrimoniale.
Tali attribuzioni, invece, non costituiscono donazioni o, in generale, atti di liberalità perché si tratta di atti estranei ad una situazione di crisi coniugale né atti di vendita in quanto non viene pagato alcun corrispettivo.
In tal senso la Cassazione per cui “gli accordi fra coniugi contenenti attribuzioni patrimoniali rivelano una loro “tipicità” propria “la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza – o meno – nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale” (Cass. n. 5741 del 2004).
Il giudice investito della domanda di inefficacia dovrà, pertanto, accertare, caso per caso, se l’attribuzione del cespite debba ritenersi compiuta a titolo oneroso od a titolo gratuito.
Nel caso che ci occupa, le parti, a fronte della espressa dichiarazione di assenza di corrispettivo per la cessione immobiliare hanno, tuttavia, inteso attribuire alla stessa natura solutoria di pregressi debiti di uno dei coniugi, lasciando intendere, anzi sottolineandola, la natura non gratuita dell’atto, con le conseguenze di cui sopra in ordine alla prova del elemento psicologico in capo alla ex moglie.
La soluzione, nel senso della gratuità o meno della cessione è, come si è visto, di grandissima rilevanza, atteso che l’art. 2901 cc, per il solo caso di atto dispositivo a titolo gratuito, non richiede la prova dell’elemento psicologico in capo al terzo.
Nel caso di specie, la prova della consapevolezza di ledere le pretese creditorie, in capo alla ex moglie (non debitrice), potrebbe essere di difficile esperibilità atteso che non è sufficiente, ai fini probatori, lo stretto legame tra i soggetti coinvolti.
Tutto ciò premesso, la revoca dell’atto di cessione posto in essere nel caso de quo sembrerebbe scontrarsi con la previsione di cui al terzo comma dell’art. 2901 cc.
Ma, anche prescindendo da tale (comunque assorbente) considerazione, si deve, tuttavia sottolineare come, gli elementi indiziari di cui sopra potrebbero non essere ritenuti sufficienti al fine del raggiungimento della prova dell’elemento soggettivo in capo al terzo che nelle azioni per revocatoria costituisce la nota maggiormente dolente in ordine all’assolvimento dell’onere probatorio che grava sul creditore.
Tuttavia nel caso di specie va rilevato che il carattere solutorio dell’operazione revocanda potrebbe non valere ad integrare un adempimento in senso tecnico ma una datio in solutum che quindi potrebbe escludere alla radice l’applicabilità del comma 3 in oggetto, atteso la sua natura novativa.

Nel caso di atti estintivi dell’obbligazione diversi dal normale adempimento, quali la “datio in solutum”, poiché tali atti comportano una volontaria modificazione del patrimonio del debitore, con rischio di compromissione delle pregresse ragioni di altri creditori, essi restano soggetti all’azione revocatoria ordinaria ove ne ricorrano le relative condizioni di legge.
Il principio è pacifico atteso che la stessa Relazione del Ministro guardasigilli al codice civile (n. 1182), sottolinea il principio della non assoggettabilità a revoca del solo “adempimento in senso tecnico”, non dovendosi escludere “la possibilità di impugnare con la azione revocatoria … la datio in solutum … se sussistono tutte le condizioni richieste dalla legge”.

Anche la giurisprudenza è conforme sul punto ed afferma che “quando l’estinzione del debito avviene attraverso una vicenda novativa e quindi in un modo diverso dell’adempimento (n.d.r. e nel nostro caso è avvenuto in un modo diverso dal pagamento: il debitore non ha pagato ma ha ceduto la quota di proprietà del proprio cespite immobiliare) è innegabile l’intervento di una scelta volitiva da parte del debitore in accordo con il creditore, intervento sufficiente ad escludere ogni carattere di << atto dovuto >> dal meccanismo negoziale prescelto (Cass. 12123/1990 – nei termini anche Cass. 12045/2010).

Infine si rileva come, riconoscendo all’atto de quo natura di datio in solutum, si potrebbe aprire anche la strada dell’applicazione analogica di alcuni recessi giurisprudenziali resi in materi di revocatoria fallimentare in ordine alla prova dell’elemento soggettivo in capo al terzo.
Parte della giurisprudenza ritiene, infatti, che:” qualora il collegamento funzionale tra più atti fosse tale da far intendere l’esistenza, al di là dell’utilizzo di negozi tipici, di una finalità riconducibile ad una sostanziale datio in solutum, si potrebbe prescindere anche dalla prova dell’elemento della scientia decotionis da parte dell’altro contraente ravvisabile (quasi in re ipsa) nella stessa modalità anomala (o atecnica) dell’adempimento (Cass. 12644/2011).”

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