Con un recente provvedimento, il Tribunale di Milano (sezione Fallimentare Dott.ssa Mammone ) ha sottolineato l’autonomia della previsione di cui al terzo comma dell’art. 10 L. n. 3/2012 (a mente del quale “il Giudice, accertata la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori dispone la revoca del decreto”), alla quale non sono applicabili, in via analogica, le elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali in materia di concordato preventivo relative agli atti in frode ai creditori di cui all’art. 173 l.f. che prevede che : “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato,… (omissis).”

Di seguito, in breve, il caso de quo.

Il Debitore (che versava in situazione di sovraindebitamento, in conseguenza delle obbligazioni di garanzia assunte dallo stesso a favore della società di cui era socio, successivamente dichiarata fallita) chiedeva l’omologazione di una proposta di accordo ai sensi dell’art. 9 L. n.3/2012 che prevedeva, in sostanza: 1) il pagamento integrale del compenso del professionista designato con funzioni di O.C.C.; 2) il pagamento del creditore ipotecario in misura pari all’importo massimo ricavabile dalla vendita degli immobili su cui insiste l’ipoteca, con degradazione dell’importo residuo del credito al chirografo; 3) il pagamento in percentuale degli altri creditori chirografari, divisi in tre classi.

Il debitore allegava al ricorso la documentazione prescritta dall’art. 9 L. n.3/2012, compreso l’elenco delle spese necessarie al suo sostentamento e l’elenco degli atti dispositivi compiuti negli ultimi cinque anni, dando soprattutto atto di aver donato alle sue figlie la nuda proprietà di un immobile.

La proposta veniva approvata con la maggioranza del 63,09% del credito ed il professionista incaricato depositava la relazione definitiva dando atto di contestazioni di alcuni creditori (chirografari e privilegiati non soddisfatti integralmente) attinenti, essenzialmente, all’esistenza di atti di frode; in particolare i suddetti creditori contestavano l’atto di donazione, sostenendo: “(omissis) .. che l’atto di donazione posto in essere dal debitore appaia caratterizzato da intenti elusivi del disposto dell’articolo 2740 cc; a tal fine non è necessario, come sostiene controparte, che nel debitore vi fosse l’intenzionale volontà ed attitudine ad ingannare i creditori in ordine all’effettiva sussistenza del patrimonio, essendo infatti sufficiente l’evento dannoso e la sua conoscenza/conoscibilità. A ragionare diversamente, infatti, si svuoterebbe di significato la procedura stessa, atteso che un debitore potrebbe benissimo liberarsi da un ingente debito formulando una proposta artatamente ribassata sulla scorta del ridotto valore dei propri cespiti; valore ridotto, lo si rammenta, da un proprio atto dispositivo.

Infine non ha maggior pregio l’osservazione che gli altri creditori, pur edotti circa la pendenza di due azioni revocatorie, abbiano ugualmente votato a favore della proposta.

Per i creditori chirografari, infatti, in presenza di un creditore privilegiato è pur sempre preferibile aderire ad un progetto di ristrutturazione che preveda un qualche pagamento a loro favore piuttosto che votare contro e “competere” successivamente nelle sedi ordinarie.”

Il Tribunale di Milano, ravvisando il carattere fraudolento della predetta donazione, non omologava la proposta, condividendo la ricostruzione sopra riportata della ratio dell’art. 10 della Legge 3/2012.

Anche nel successivo giudizio di reclamo la proposta non veniva ritenuta meritevole di accoglimento.

Il provvedimento in parola presenta, dunque, diversi spunti di interesse in quanto valorizza l’autonomia delle previsioni di cui all’art. 10 L. n. 3/2012, rispetto alle ricostruzioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in ordine al concordato preventivo, con cui la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento presenta innegabili punti di contatto.

In particolare, il Giudice monocratico (e successivamente quello collegiale) non ha aderito alla ricostruzione del debitore che, invocando l’eadem ratio fra le due procedure, contestava la rilevanza ai sensi dell’art. 10 L. n. 3/2012 del proprio atto di donazione, sulla scorta della circostanza che dell’atto medesimo ne sarebbe stata fornita puntuale notizia a tutti i creditori, elidendo così quella potenzialità decettiva sul processo di formazione della volontà degli stessi.

In altre parole, per il debitore, l’art. 10 L. n. 3/2012, andrebbe letto alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale sull’art. 173 L. Fall. che attribuisce rilevanza non a tutti gli atti in frode ma soltanto a quelli diretti ad ingannare i destinatari della proposta.

Il Giudice, tuttavia, con il decreto in esame ha rilevato come “la disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento appaia essere in controtendenza rispetto alle scelte operate dal legislatore in materia di concordato preventivo” laddove ha eliminando quei requisiti di meritevolezza che facevano del concordato una soluzione allo stato di crisi, non irreversibile, dell’imprenditore onesto ma sfortunato.

Secondo il Giudice milanese, nella procedura di composizione del sovraindebitamento, invece, il Giudice è chiamato a verificare la meritevolezza del soggetto sovraindebitato.

Tale impostazione emerge con chiarezza, sempre secondo il Giudice monocratico, dalle previsioni secondo cui l’O.C.C. deve indagare “sulle cause dell’indebitamento; sulla diligenza del debitore nell’assunzione delle obbligazioni; sulle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte; sull’attendibilità della documentazione allegata all’atto introduttivo delle procedure; sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni

Insomma sono diversi indici che, in sintesi, si possono identificare con la condotta tenuta dal debitore nel periodo antecedente l’accesso alla procedura e che segnano il ritorno, da parte del legislatore, ad una concezione “moralizzata “della procedura concorsuale.

È in tale contesto innovativo che la Legge n. 3/2012, imponendo al debitore di fornire l’elenco degli atti dispositivi degli ultimi cinque anni, condiziona l’ammissibilità del piano del consumatore, dell’accordo di composizione della crisi e della liquidazione dei beni, all’accertamento da parte del Giudice della mancanza di atti fraudolenti che, se esistenti, lo rendono “immeritevole dei vantaggi che derivano dal buon esito della procedura indipendentemente dalla loro idoneità decettiva”.

Si rammenta, infine, che anche il Giudice collegiale, investito del reclamo, ha confermato la ricostruzione dell’istituto effettuata dal Giudice monocratico sottolineando, quale ulteriore profilo di autonomia dell’art. 10 L. n. 3/2012, l’inapplicabilità per analogia dell’art. 173 L. Fall. in quanto la disciplina del sovraindebitamento contiene una disciplina specifica in punto di iniziative o atti in frode al creditore di talché, potendosi decidere la controversia in base ad una precisa disposizione di legge, il ricorso al procedimento analogico è da escludersi per espressa previsione dell’art. 12 disp. prel. Cod. civ.

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