Con un recentissimo provvedimento, il Tribunale di Reggio Emilia, rigettando la domanda degli attori –  basata sulla tesi della sommatoria tra tasso di interesse corrispettivo e tasso di mora al fine di determinare il superamento del tasso soglia –  ha aderito alla richiesta della banca convenuta, condannando gli attori per responsabilità aggravata ( cd lite temeraria ) ai sensi del novellato articolo 96 comma 3 c.p.c..

A- Sul superamento del tasso soglia

Gli attori avevano citato in giudizio la banca per aver quest’ultima asseritamente applicato tassi di interessi usurari ad un contratto di mutuo da loro stipulato.

Per procedere al confronto degli interessi moratori, previsti contrattualmente, con le soglie di usura, gli attori avevano cumulato i tassi di interessi corrispettivi e quelli moratori con una mera operazione algebrica.

Tale impostazione da parte degli attori era l’effetto della erronea lettura della sentenza n.350 del 2013  della Corte di Cassazione  che, in maniera alquanto discutibile era, da molti, stata ritenuta quale un’apertura del Supremo Collegio alla tesi della sommatoria degli interessi corrispettivi con quelli di mora ai fini della verifica dei tassi usurari.

Oltre a difendersi nel merito, la banca convenuta aveva richiesto anche la condanna degli attori  per responsabilità aggravata ai sensi del novellato articolo 96 comma 3 c.p.c. : il Giudice, oltre al rigetto nel merito, della domanda degli attori ha  condannato altresì gli attori al pagamento di una somma equitativamente determinata attesa la responsabilità aggravata.

B- Sulla responsabilità aggravata ex art 96 cpc

La responsabilità aggravata (  cd. lite temeraria)  disciplinata dall’art. 96 c.p.c., consiste nella responsabilità della parte soccombente per i danni provocati dal proprio agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave.

La norma, pertanto, richiede, per poter essere applicare, la presenza di alcuni requisiti.

Il primo (oggettivo) è conseguente alla soccombenza totale della parte ; infatti non potrebbe configurarsi la temerarietà nella proposizione (o resistenza) della lite in caso di soccombenza parziale o di soccombenza cd. “virtuale” ( ad esempio nel caso di rinuncia al giudizio, ai sensi dell’art. 306 c.p.c.  nonché nel caso di estinzione del giudizio per inattività delle parti ).

Il secondo requisito, di natura soggettiva, è la malafede o la colpa grave ravvisabile nel comportamento della parte.

La malafede è generalmente intesa quale consapevolezza del proprio torto ovvero quale uso distorsivo dello strumento processuale utilizzato per finalità estranee allo stesso.

La colpa grave consiste, invece, nel difetto, in capo alla parte, di ogni minima diligenza nella preventiva valutazione della domanda; diligenza che, qualora utilizzata,  avrebbe facilmente reso evidente alla parte l’erroneità o l’ingiustizia delle proprie richieste.

A tali presupposti se ne aggiunge un altro consistente nell’allegazione di un danno sofferto a causa del contegno processuale di controparte e nella prova della sua entità; prova che – secondo i generali canoni di ripartizione dell’onere della prova – grava su chi la invoca.

La domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. comma 1,  pertanto, non può trovare accoglimento ogni qualvolta sia carente non solo l’elemento soggettivo dell’illecito (e dunque la mala fede o la colpa grave) ma anche  la prova del danno sofferto e della sua entità.

Dall’articolata disciplina di cui sopra discende, pertanto, che la mera infondatezza dell’azione non costituisce, da sola, circostanza sufficiente a giustificare l’adozione di una pronuncia per lite temeraria.

Va però segnalato che la Legge 18.6.2009 n. 69, novellando l’articolo in commento, ha aggiunto il terzo comma, che attribuisce al Giudice la possibilità di pronunciare, anche di ufficio, la condanna della parte soccombente al pagamento in favore della controparte di somma equitativamente determinata.

Tale previsione, introduce un’ipotesi di “punitive damages” che, nell’ordinamento italiano, si pone dal 2009 come novità di assoluto rilievo e come utile strumento deflattivo del contenzioso civile attesa la sua funzione sanzionatoria e non meramente risarcitoria.

Il suddetto terzo comma prevede che il Giudice possa condannare la parte soccombente anche d’ufficio e senza la prova specifica del danno subito.

Nel caso di specie il Giudice, ritenendo integrati gli estremi della responsabilità aggravata nella proposizione di una domanda  giudicata ( testualmente ) “giuridicamente del tutto inconsistente e infondata anche in fatto”,  ha condannato gli attori ex art. 96 3° comma c.p.c al pagamento in favore della banca di una somma equitativamente determinata e pari alla metà di quanto liquidato a titoli di spese di lite.

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