In ambito assicurativo si sovente accade che, a seguito di un sinistro, vi sia disaccordo tra la liquidazione del danno proposta dall’assicuratore con l’ammontare dello stesso preteso dall’assicurato. In presenza di tale contrasto, le Condizioni Generali allegate alle polizze di assicurazione prevedono vari rimedi volti alla sua eliminazione, così da garantire in tempi rapidi la definizione del sinistro.

Tali rimedi sono per lo più quelli dell’arbitrato, della perizia contrattuale e dell’arbitrato irrituale, di cui di seguito vengono indicati i caratteri essenziali e, dunque, le relative differenze.

Ogniqualvolta la clausola contrattuale devolva a terzi la determinazione della causa del danno nonché l’entità dello stesso si verte in tema di arbitrato (rituale o irrituale a seconda di quanto espressamente in proposito indicato dalla medesima clausola); ma per il caso in cui la medesima clausola imponga la sola liquidazione del danno si rientra nell’arbitraggio ex art. 1349 c.c..
In quest’ultimo caso, è evidente come la determinazione del danno da parte di un soggetto terzo sia volta alla sola determinazione del quantum dovuto dall’assicuratore e, per l’effetto, il terzo viene chiamato non a compiere un giudizio, bensì ad una semplice manifestazione di volontà avente il fine precipuo di completare la fattispecie contrattuale che, ex art. 1349 c.c., risulta così essere inquadrabile sotto la forma di “atto di arbitraggio”.

Un diverso orientamento, molto diffuso, sostiene invece che allorquando tali clausole contrattuali devolvano a terzi la sola determinazione del danno sia più corretto parlarsi di “perizia contrattuale”.

Tramite tale strumento le parti devolvono dunque a terzi – prescelti in virtù di specifiche competenze tecniche e giuridiche – una personale valutazione e la conseguente formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare quale diretta espressione della propria determinazione volitiva.

Invece, per il caso di arbitrato irrituale, le parti “si propongono di rimettere all’arbitro la soluzione di controversie insorte o insorgende soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento, impegnandosi ad accettare la decisione come espressione della loro volontà” (Cass. Civ. sez. I, 10.5.07, n. 10705).
La funzione degli arbitri, pertanto, coincide con la risoluzione di controversie di natura giuridica onde pervenire ad una formulazione da ritenersi quale manifestazione della volontà delle parti e avente dunque valore di vero e proprio negozio concluso dalle stesse.

Infine, secondo l’orientamento maggiormente diffuso in dottrina, la clausola con cui una controversia venga devoluta a terzi deve ritenersi rientrante nella categoria dell’arbitrato irrituale sia per il caso in cui venga demandata la sola quantificazione del danno, sia quando vengano devolute controversie inerenti l’an debeatur.

Tale teoria, dunque, ritiene insostenibile che la differenza tra perizia contrattuale e arbitrato libero si fondi esclusivamente sul criterio di giudizio adottato dal terzo – ovvero di natura giuridica per l’arbitro e di natura tecnica per il perito – e ciò in quanto in entrambi i casi, indipendentemente dal criterio adottato, il compromesso che ne scaturisce è un atto di giudizio formulato da terzi e che in ogni caso rappresenta la manifestazione di volontà delle parti.

© 2015 MANZATO & ASSOCIATI - STUDIO LEGALE P.IVA 13374140153 | DEVELOPED BY LOOPROJECT